Le dee madri del Neolitico sardo

La prima figurazione antropomorfa femminile a tutto tondo che conosciamo in Europa è la Venere di Hohe Fals o Schlekingen, in Germania, datata a 35.000 anni fa. Questa fase del Paleolitico superiore è detta Aurignaziano, e la produzione prosegue nelle fasi Gravettiana (28.000-20.000 anni fa) e Maddaleniana (15.000-10.000 anni fa).

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Venere di Macomer, da https://twitter.com/museoarcheoca/status/742250141348945920

Per quanto riguarda la Sardegna, da considerare a parte è la controversa Venere di Macomer, rinvenuta nel 1949 fuori contesto in località S’Adde a Macomer e, sulla base dei confronti, attribuita anch’essa al Paleolitico superiore, ma da alcuni ritenuta un falso per via delle numerose incongruenze che il manufatto presenta.

La prima figurazione antropomorfa potrebbe invece datarsi al Neolitico antico: si tratterebbe di una raffigurazione stilizzata sull’ansa di un vaso pertinente alla facies delle linee incise, successiva alla fase cardiale. Ma per arrivare alle famose raffigurazioni a tutto tondo bisogna attendere la cultura di Bonu Ighinu del neolitico medio, che dà vita ad una tendenza che si protrarrà fino all’Età del rame.

 

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Dea Madre da Cuccuru is Arrius, Cabras. Figura di tipo volumetrico.

Le cosiddette dee madri del neolitico medio di cultura Bonu Ighinu sono dette di tipo volumetrico. Queste sono esemplificate da 21 esemplari provenienti da diverse zone della Sardegna, con una concentrazione nel contesto stratigrafico di Cuccuru is Arrius, dove 9 tombe a pozzetto hanno conservato ben 13 statuette, di cui 4 edite. La figura è rappresentata con una tendenza al realismo, che si accentuerà nelle fasi successive, per poi scomparire drasticamente per dar spazio all’astrazione. Questi manufatti sono realizzati per lo più in pietra tenera e lo stile è denominato “volumetrico” perché la raffigurazione è divisa in volumi: la testa si presenta pressoché cilindrica, con i tratti del volto sintetizzati nel classico schema a T che si ritrova anche nei betili, nei menhir e nei bronzi figurati della Prima Età del Ferro; il busto è diviso dagli arti inferiori tramite delle linee ben definite, mentre gli arti superiori per il momento sono statici e distesi lungo i fianchi. Particolare sempre presente è l’accurata raffigurazione delle mani, come anche del copricapo, a discapito di altri elementi che sono volutamente trascurati. Questo indica l’intenzione di marcare alcuni tratti, probabilmente più importanti simbolicamente.

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Dea Madre da Santadi. Figura a braccia conserte.

Nella fase San Ciriaco lo stile adottato si discosta dal tipo volumetrico nella rappresentazione dei dettagli anatomici e nella complessiva resa formale. L’immagine, come accennato, si avvicina maggiormente ad una resa realistica. I manufatti sono ancora in pietra tenera, ma anche in osso e terracotta, e vengono raccolti nello stile delle “braccia conserte”. Accade che la resa di tipo volumetrico si assottiglia notevolmente, prefigurando le successive caratteristiche di queste particolari statuette. Le braccia non corrono più lungo i fianchi, ma vengono a piegarsi delimitando il busto e gli arti inferiori. Il busto stesso non è più rappresentato plasticamente, ma si appiattisce. La posizione delle braccia conserte e mani affrontate è in uso nel Vicino Oriente già durante le prime fasi neolitiche e questi manufatti si accostano facilmente alla cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (VBQ) della Penisola italiana.  La produzione in terracotta si discosta, tre manufatti fittili potrebbero riferirsi ad una fase di transizione allo stile cosiddetto planare, con la rappresentazione di esemplari assisi.

Il successivo e definitivo stile planare porta all’apice i processi di astrazione e, conseguentemente, di simbolizzazione di queste figure. Si divide in tre gruppi, che coprono l’età del Neolitico recente-finale e l’Età del Rame:

  • le figure cruciformi
  • le figure a placca intera
  • le figure a placca traforata

La più famosa del primo gruppo è sicuramente la Dea Madre di Turriga, riferibile alla cultura di Ozieri, chiaro esempio della tendenza astrattizzante portata all’eccesso, dove la figura si presenta piatta e a forma di croce, con gli unici segni caratterizzanti rappresentati dai seni, lievemente rilevati e il naso a listello. È da notare come, nell’evoluzione, la tipologia delle braccia conserte si sia semplificata unificando braccia e busto nel braccio corto della croce, mentre il volto si presenta ovoide.

 

La presenza di elementi riconducibili alla resa plastica degli arti è del tutto assente nelle figurine a placca intera. Queste si caratterizzano per la tripartizione stilizzata della figura in testa, busto e arti inferiori. Questi ultimi, a differenza delle cruciformi, sono schematizzati nella parte terminale distinguendo dal busto i glutei, che sono evidenziati. La maggior parte dei manufatti ci è pervenuta acefala oppure, al contrario, sono giunte fino a noi solo le teste, che difficilmente è possibile distinguere tra le figurine cruciformi o quelle a placca intera.

L’ultimo stile che si vuole analizzare è quello delle figure a placca traforata, che rappresentano l’ultimo salto nella resa: qui le braccia sono distinte dal busto, in quanto la precedente resa a placca intera viene forata seguendo la piega dei gomiti, che, come si può intuire si avvicinano per posizione alle figure a braccia conserte della fase San Ciriaco.

L’interpretazione di queste figurazioni antropomorfe è quella comune di dee madri, che risulta, da un certo punto di vista, riduttiva. Nella cultura neolitica generalmente le pratiche cultuali sono legate alla sfera funeraria e i dati sui rituali ci offrono indicazioni, ma il loro significato tutt’ora ci sfugge. Seguono un linguaggio codificato che permetteva all’uomo del neolitico di esprimere la propria spiritualità e comunicare la propria appartenenza ad un gruppo. Le figurine femminili sono presenti nei contesti funerari, ma anche nei villaggi, il che dimostra che la distinzione tra il sacro e il quotidiano non è poi così netta come ci si aspetterebbe.

Bibliografia:

  • G. Paglietti, La piccola statuaria femminile nella Sardegna neolitica. Proposta di una seriazione evolutiva attraverso l’applicazione di metodi stilistici e dimensionali, in Tanda G. e Lugliè C., a cura di, Il Segno e l’Idea. Arte preistorica in Sardegna, Cagliari, CUEC, 2008
  • M. G. Melis, L’eredità del Neolitico. La Sardegna tra il IV e il III millennio a.C., in A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba (a cura di), La Sardegna preistorica. Storia, materiali monumenti, Sassari 2017
  • G. Paglietti, La madre mediterranea nella Sardegna neolitica, in A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba (a cura di), La Sardegna preistorica. Storia, materiali monumenti, Sassari 2017
  • S. Fanni, M. Sirigu, L. Soro, Donna o Dea. Le raffigurazioni femminili nella preistoria e protostoria sarda, White Rocks Bay, Cagliari 2018

F.F.

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