Il furto del secolo. La storia del più grande furto d’arte in Italia.

La notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1975 a Urbino avvenne quello che all’epoca fu definito “il furto del secolo” e che possiamo dire, in un certo senso, cambiò il modo con cui l’Italia si prese cura del proprio patrimonio artistico.

Ma prima di iniziare è doveroso chiarire che il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, come era denominato all’epoca, dopo lo scorporo dal Ministero della Pubblica Istruzione, era appena stato istituito con il Decreto Legge del 14 dicembre 1974 n. 625, convertito in Legge il 29 gennaio 1975 n. 5, con primo titolare del dicastero Giovanni Spadolini e che il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, ad oggi uno dei reparti a più alta specializzazione dell’Arma dei Carabinieri, era stato fondato pochi anni prima, il 3 maggio del 1969, con la denominazione di “Comando Carabinieri Ministero Pubblica Istruzione – Nucleo Tutela Patrimonio Artistico”. Entrambi gli enti si ritrovarono, così, a dover gestire a poco tempo dalla loro istituzione, uno dei furti d’arte più clamorosi di sempre avvenuti sul territorio italiano.

Torniamo alla notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1975, una notte con una nebbia che andava ad avvolgere i viottoli della cittadina urbinate, compreso il Palazzo Ducale, custode di alcuni tra i più grandi capolavori del Quattrocento e Cinquecento italiano.

In quel periodo il Palazzo Ducale era oggetto di lavori, grandi impalcature cingevano l’intero edificio. Proprio grazie ad esse, due o più persone entrarono nel palazzo, intrusione favorita anche grazie alla totale assenza di un sistema di allarme.

Lo smacco sarà grandissimo, soprattutto alla luce delle parole pronunciate qualche giorno prima dall’allora soprintendente alla Galleria Nazionale delle Marche, Italo Faldi, che comparavano il Palazzo Ducale di Urbino ad una fortezza inespugnabile.

Una fortezza, come detto, sprovvista di qualsiasi tipo di sistema d’allarme, sicurezza garantita da ben ventidue guardie giurate la mattina, ma solo due la notte, che percorrono i corridoi e le stanze illuminate solo dal fascio delle loro torce, in quanto la notte, forse per risparmiare, l’energia elettrica veniva staccata. Ciò basterà ai malviventi per attuare il loro piano, avendo ormai capito che i custodi percorrono le stanze per i dovuti controlli ogni due ore.

Era la notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1975, quando dal Palazzo Ducale di Urbino, furono rubate tre delle opere più meravigliose del Rinascimento italiano, “La Muta” di Raffaello, “La Flagellazione” e “La Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca.

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La Muta – Raffaello

Fatto curioso è pensare che “La Flagellazione” a quei tempi era inserito in una lista di trenta capolavori che andavano salvati a tutti i costi in caso di una guerra nucleare.

Questo furto ribattezzato “il furto del secolo”, sia vista l’importanza e il valore inestimabile delle tele, sia per la forza, brutale e scioccante, che colpi l’Italia, forse per la prima volta il Paese capì l’importanza di tutelare il patrimonio artistico, una ricchezza da dover difendere e non da dare per scontata. Non sarà un caso, che Giovanni Spadolini, nei giorni seguenti, allora a capo del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, si recherà a Urbino per testimoniare la vicinanza delle istituzioni verso quel furto sacrilego ai danni del patrimonio artistico italiano. Una visita, a dir si voglia storica, la prima visita ufficiale di un ministro dei Beni Culturali, ministero nato poche settimane prima proprio con lo scopo di rendere efficace ed organica la tutela del patrimonio artistico.

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La Flagellazione – Piero della Francesca

Quella notte per i Carabinieri sarà un brutto risveglio, la nota della sala operativa del Comando Generale è esplicativa, con la sintesi che è caratteristica delle brutte notizie: <<Comunicazione telefonica dalla Compagnia di Urbino, 6 febbraio 1975, dalle ore 00.30 alle ore 02.30, in Urbino (Pesaro) ignoti asportavano dal Palazzo ducale tre dipinti di cui un Raffaello denominato “Gentil Donna” o “La Muta” e due Piero della Francesca raffiguranti “Flagellazione” e “Madonna di Senigallia”. Valore ritenuto inestimabile. Comandante Gruppo, comandante Compagnia sul posto, Trasmette cap. Battista, riceve cap. Aquilio. Ore 05.05>>. In calce al documento, forse scritto dallo stesso Capitano Aquilio destinatario della chiamata, vi è aggiunto a matita <<Ore 4.00 preavvisato il nucleo Cc. Tutela patrimonio artistico>>.

Le autorità, ancor prima di iniziare le indagini, rivolgono un appello ai ladri, più un’implorazione, perché trattino con cura le fragili opere, evitino di toccarle con le mani e se possibile di avvolgerle con panni di velluto.

Nei giorni e mesi successivi al furto, saranno decine le rivendicazioni e richieste di riscatto da parte di truffatori e mitomani.

In questo marasma saranno importanti le intuizioni di due persone, la prima una ragazza, che a distanza di poche ore dal furto, acquisterà a Pesaro una gran quantità di velluto per assecondare una richiesta del fidanzato. La giovane turbata dalla strana commissione, si confessa prima con la madre, e poi con un carabiniere in pensione, amico di famiglia, un ex maresciallo che capisce subito e mette sulla giusta pista i suoi vecchi colleghi. Elio Pazzaglia, è il nome del fidanzato e di uno dei componenti della banda, un falegname di Pesaro, una banda non di professionisti, intenzionato a rivendere la refurtiva e vivere senza più tribolazioni economiche. Il Pazzaglia purtroppo sbaglia, i capolavori sono troppo noti e ormai sulla bocca di tutti perché ci possa essere qualcuno intenzionato ad acquistarli.

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La Madonna di Senigallia – Piero della Francesca

In quei giorni a Urbino fa la sua comparsa un personaggio molto importante, Rodolfo Siviero, laureato in Storia dell’Arte a Firenze, figlio di Carabiniere, negli anni trenta diventa agente del SIM, Servizio Informazioni Militari, e a Berlino sarà incaricato di raccogliere informazioni sul regime nazista, che aveva da poco siglato un’importante intesa con Roma. Durante la guerra, Siviero si insedierà a Firenze, dove cercherà di contrastare i traffici d’arte nazisti con operazioni di intelligence.

Grazie alla sua esperienza nel 1946 il Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi lo nominerà capo dell’ufficio interministeriale per il recupero delle opere d’arte, suo compito sarà riportare in patria le opere trafugate in Germania dai nazisti.

Negli anni cinquanta, ha ormai assolto il suo compito, ma il Governo non vuole perdere una tale risorsa e decide di mantenerlo nel suo incarico, occupandosi però dei traffici d’arte della criminalità.

Il colpo del secolo lo vedrà impegnato sul fronte del recupero, grazie a una rete di informativa efficiente, il 10 febbraio si presenta a Urbino con una lista di sospetti, nomi sui quali gli investigatori avevano già puntato l’attenzione, ma che verranno rilasciati quasi subito per carenza di indizi.

Le indagini riprendono e ai Carabinieri di Milano giunge una soffiata, i dipinti si troverebbero a Ginevra presso un antiquario che si starebbe organizzando per piazzarli sul mercato. La città elvetica non è lontana e nessuna pista può essere tralasciata, magistrati e carabinieri propongono una rogatoria internazionale per poter procedere alla perquisizione a carico dell’antiquario, i tempi sono lunghi e non ci sono certezze, nel frattempo gli inquirenti continuano a seguire altre piste. La perquisizione a Ginevra darà esito negativo.

In questa storia, si inseriscono anche altri due personaggi, che sul momento non hanno niente a che vedere col furto, uno è il Capitano dei Carabinieri Nevio Monaco, l’altro personaggio che avrà un’importante intuizione, e l’altro è l’antiquario Maurizio Balena, riminesi <<coetaneo e amico di Balena, sono cresciuto con lui sui banchi di scuola fin dalle elementari. Le nostre frequentazioni e le bisbocce sono continuate fino agli anni sessanta, quando ho preso una strada diversa da Balena. Mi sono arruolato nei Carabinieri>>. Il clamoroso furto di Urbino ha come quinta teatrale la Bologna degli anni settanta, dilaniata dalla guerra civile tra gli estremisti di sinistra e i difensori dello Stato. All’epoca il Capitano Monaco comandava il nucleo investigativo di Bologna e descrive l’amico Balena come <<uno dei più bravi esperti di antiquariato in campo nazionale>>, in quel periodo aveva appena aperto un negozio di antiquariato a Bologna con il socio Pier Francesco Savelli. I fatti successi a Urbino, inizialmente, non interessano il Capitano Monaco, che in quel periodo conduce indagini di ben altro tipo, tuttavia il Capitano ha un’intuizione che poi si rivelerà decisiva nel proseguo delle indagini, farà mettere sotto controllo i telefoni del Balena e del Savelli. Dalle intercettazioni emergeranno conversazioni riguardati il furto dei dipinti ad Urbino.

Il Balena viene arrestato dai Carabinieri di Rimini con l’accusa di essere implicato nel furto di un crocifisso ligneo attribuito a Giotto da una chiesa di Tredozio, ma verrà scagionato, nel frattempo l’amico Carabiniere farà mettere sotto sequestro il suo negozio a Bologna, la sua tattica era chiara convincere Balena a rivelare ciò che sapeva sui dipinti trafugati a Urbino. I due stringono un patto d’acciaio, la restituzione del negozio per il suo interessamento ai quadri di Urbino, ma a questo punto la vicenda si complica, il furto è diventato ormai un caso nazionale. Tutti sono a caccia del Balena, il solo a sapere come siano veramente andati i fatti, il quale da canto suo darà prova di essere in grado di condurre gli inquirenti ai quadri mostrando un piccolo frammento ligneo, che poi si dimostrerà appartenente alla tavola de “La Muta” di Raffaello.

La verità si farà strada più avanti, ormai i ladri hanno constatato l’impossibilità di rivendere una merce così preziosa e nota, che gli rimane un’unica strada per poter ancora riuscire a trarre un profitto.

Qui tornerà in campo Rodolfo Siviero, il quale finalmente riceverà una telefonata credibile.

Nelle trattative per la restituzione, che prevedono anche l’arresto dei responsabili, le redini delle indagini sono tenute da Pio Alferano, nuovo Comandante del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e dai suoi più diretti collaboratori.

Il riscatto richiesto è di 250 milioni di lire, i Carabinieri si fingono dei facoltosi acquirenti e accettano di acquistare i quadri. Nel frattempo, approfittano della situazione per individuare i soggetti coinvolti nel furto, e gravitano fra Pesaro, Urbino, Rimini e Bologna.

Grazie a una nuova collaborazione delle forze dell’ordine elvetiche, dell’antiquario Balena, che su espressa richiesta del Capitano Monaco si reca a Locarno per aiutare i Carabinieri come tramite nell’acquisto, dopo due mesi dall’avvio della negoziazione il 23 marzo del 1976 le forze dell’ordine irrompono in un albergo a Locarno recuperando i tre preziosi dipinti. Elio Pazzaglia fu arrestato insieme ai complici, Dante Gaudenzi, Ottavio dall’Osso, Adriano Verri e Federico Tirci, accusati a vario titolo di concorso in furto aggravato e ricettazione.

La nota della sala operativa del Comando Generale sul recupero dei quadri è sintetica quanto quella che ne annunciava il furto <<Comunicazione telefonica da parte del comando carabinieri Tutela patrimonio artistico. Ore 14,30 circa, Carabinieri ministero Beni culturali et ambientali hanno sequestrato in Locarno (Svizzera) tre noti dipinti, rubati nel febbraio scorso anno dal museo di Urbino. Fine ten. Col. Alferano>>. Interessante notare che a ricevere quella notizia vi fosse come ufficiale di turno nella sala operativa nuovamente il Capitano Aquilio, un cerchio che finalmente si chiudeva.

Sei giorni dopo, i quadri scortati dai Carabinieri, fanno ritorno in Italia, il 13 marzo del 1976 fanno ritorno a Urbino, nel plauso della cittadinanza e delle autorità locali.

Il nuovo ministro dei Beni Culturali e Ambientali, Mario Pedini, appena subentrato a Giovanni Spadolini, in una telefonata di congratulazione al Comandante Alferano dice <<Avete lavorato con zelo inversamente proporzionale ai mezzi di cui disponete>>, lo stesso Spadolini commenterà l’avvenimento con un intervento sulla stampa <<E penso ai trenta, o poco più, carabinieri del Nucleo per il patrimonio artistico che dipende dal ministero per i Beni culturali, allogati in un vecchio e inadatto palazzo della Roma barocca, a piazza Sant’Ignazio. Si deve a loro, alla loro opera silenziosa e tenace, l’individuazione della trama, la scoperta dei colpevoli, il ricupero delle opere straordinarie. Impegnati da mesi e mesi in questa pista, senza mai un cedimento alla pubblicità o alla vanità, esempi di uno stile che dovrebbe essere additato a molti corpi dello Stato>>.

M.M.

Fonti

https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/l-arte-di-salvare-l-arte-la-muta-di-raffaello-a-urbino-il-furto-del-secolo/131112.html

http://www.romagnanoi.it/gallery/1223541/Tutta-la-verita-sul-furto-del.html

https://primabergamo.it/cronaca/quella-notte-urbino-avvenne-furto-darte-secolo/

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